Їжа. Італійське щастя

Їжа. Італійське щастя
О книге

У 2006 році у Москві та Італії одночасно вийшла книжка Олени Костюкович «Їжа. Італійське щастя», що тоді ж була нагороджена в Москві премією Союзу рестораторів, а в Італії премією Союзу книготорговців «Банкарелла». Цей твір було опубліковано в 13 країнах: Китаї, Сербії, США, Канаді, Австралії, Великої Британії, Іспанії та інших. В Україні книжка виходить уперше. До українського видання автором було написано спеціальну передмову, перероблено текст, внесені оновлені дані.

Ця книжка, матеріал до якої збирався протягом 10 років у всіх регіонах країни, знайомить читачів з італійською кухнєю. Автор описує тисячі наїдків, напоїв, приправ (лише до одного виду спагеті їх більше ста!), страв, рецепт виготовлення яких змінюється в кожної із 20 областей Італії. Це своєрідна кулінарна подорож не тільки з півночі до півдня країни, «від Гомера до фаст-фуду», але й цікава розповідь про секрети середземноморської дієти, давні рецепти, про кулінарний календар, еротизм італійської кухні. Окрему частину книги займають глосарії, таблиці, класифікації і специфікації продуктів, що використовуються в італійській кухні. Але це видання не тільки про їжу, воно про країну, про її культуру, свідченням чого є включені до нього численні відгуки видатних людей про кулінарні традиції Італії, нерозривно пов’язані з культурою країни. Книжка призначена тим, хто вивчає Італію, і допоможе зрозуміти країну та її людей через універсальний кулінарний код.

Книга издана в 2015 году.

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Il linguaggio universale dell'italia

Perché dovrei scrivere la prefazione a un libro di cucina? Me lo sono chiesto quando l’autrice me lo ha domandato, e ho avuto il sospetto di aver subito acconsentito perché Elena Kostioukovitch è la mia traduttrice in russo e io l’ammiro non solo per l’amore e la pazienza che ha dedicato ai miei libri ma anche per la sua intelligenza e la sua vasta cultura. Ma basta questa ragione, mi domandavo, visto che io non sono un gourmet?

Intendiamoci, il gourmet non è colui che, di fronte a un eccellente canard à l’orange o a una generosa porzione di caviale del Volga con bliny, si dichiara soddisfatto e felice. Costui è solo una persona normale, dai gusti non depravati e che non si chiama McDonald. No, il gourmet, il buongustaio, l’appassionato di cucina è colui che è capace di affrontare un viaggio di centinaia di chilometri per andare in quel tal ristorante dove fanno il canard à l’orange migliore del mondo. E io non sono una persona di questo genere perché di solito, tra il mangiare una pizza sotto casa e fare non dico duecento chilometri ma anche una corsa in taxi per andare a scoprire una nuova trattoria, scelgo la pizza.

Ma è proprio così? Mi sono reso conto che ho fatto chilometri e chilometri nelle Langhe (vicino alle quali sono nato, e di cui Elena parla nel capitolo dedicato al Piemonte) per condurre un amico francese (lui sì, gran gourmet) a scoprire i leggendari tartufi d’Alba, e altri chilometri ho fatto per partecipare a una seduta di bagna cauda a Nizza Monferrato dove il pranzo iniziava a mezzogiorno e terminava alle cinque del pomeriggio e tutto, salvo il caffè finale, era a base di aglio. E una volta sono andato nella più remota periferia di Bruxelles per assaggiare quella birra belga che si chiama gueuze e che può essere gustata solo sul posto, perché non sopporta il trasporto (tra parentesi, non andateci, meglio una buona ale inglese).

E allora? La cucina m’interessa o no? Riandiamo un momento agli esempi che ho citato. Una volta era per scoprire che tipo di birra amano i belgi, l’altra per far conoscere la civiltà piemontese a uno straniero e un’altra ancora per ritrovare il sapore di un rito come quello della bagna cauda che mi ricordava momenti magici della mia infanzia… In tutti questi casi andavo alla ricerca di cibo non per ragioni di palato ma per ragioni di cultura, voglio dire non (o non soltanto) per sentire un sapore nella bocca, ma per avere un’illuminazione, o il bagliore di un ricordo, o capire e far capire una tradizione, una civiltà.

E mi sono reso conto che, certo, se sono da solo, prendo la pizza sotto casa e non mi avventuro in un’esplorazione culinaria, ma non appena arrivo in un altro paese, prima ancora di visitare i musei o le chiese, faccio due cose: anzitutto cammino per le strade, cerco di perdermi in modo da girare a vuoto, a lungo, per vedere la gente, le vetrine, i colori delle case, sentire gli odori; e poi vado a cercare il cibo locale, perché senza l’esperienza del cibo non capirei il luogo in cui sono e il modo di pensare di chi vi abita.

E mi sono reso anche conto che in tutti i miei romanzi forse un po’ meno nel Pendolo di Foucault dove i protagonisti (e i lettori) vivono per così dire a casa propria, tra Milano e Parigi, ma certamente moltissimo in Baudolino, ne L’isola del giorno prima e nel mio ultimo, La misteriosa fiamma della regina Loana faccio mangiare moltissimo i protagonisti, così come faccio mangiare almeno una volta i monaci de Il nome della rosa, e li faccio girare a lungo in cucina. Perché, se ti avventuri nelle isole dei mari del Sud o nell’Oriente bizantino, o in un universo scomparso da centinaia o da decine di anni, devi far mangiare il lettore, per condurlo a capire come pensano i personaggi.

Ho dunque un’ottima ragione per introdurre il libro di Elena. Perché Elena, che pure si rivela prodigiosa conoscitrice della cucina italiana in tutte le sue sfumature e i suoi misteri, ci conduce per mano (e diciamo pure per palato e per naso) nel suo viaggio culinario non solo per farci conoscere dei cibi ma per farci conoscere l’Italia, che essa ha passato la vita a scoprire.

Questo che state per leggere è un libro sulla cucina ma anche un libro su un paese, su una cultura, anzi, su molte culture.

Infatti è sempre imbarazzante parlare di «cultura italiana» così come è imbarazzante parlare di «paesaggio italiano». Se prendete un’automobile e visitate gli Stati Uniti, vi può capitare di viaggiare giorni e giorni per orizzonti sterminati (e quando vi fermate avrete sempre lo stesso hamburger della sosta precedente); se viaggiate nel Nord Europa potete percorrere a lungo, per orizzonti altrettanto ampi, chilometri di autostrada vedendo soltanto magnifici campi di segale e naturalmente non cito l’esperienza di un viaggio per le steppe dell’Asia centrale, per i deserti del Sahara e di Gobi, per le distese australiane, al centro delle quali si leva il gran sasso di Ayers Rock. Questa esperienza di un contatto con l’immensità della natura ha prodotto l’idea del Sublime, che nasce sempre di fronte a mari in tempesta e a cieli, abissi, picchi montani sproporzionati, rupi impervie, ghiacciai senza fine, distese senza confini.



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