Il mare, luogo di sogni e di desideri; e c’è chi non l’ ha ancora visto e mai lo vedrà per l’intera esistenza.
Il mare, quello trasparente che evoca vacanze esotiche con bianche sabbie e palme sulla riva; quello che ci fanno vedere, sullo schermo televisivo, assassinato dal petrolio, quello liscio come olio delle assolate giornate d’estate, quello in burrasca che provoca sfracelli e devastazioni, quello che ottusamente cerca di farsi strada tra le rocce, ma i nostri tempi non sono i suoi, perché ci riuscirà. Quello che regala vita alla pietra che da esso è lambito.
Strada per grandi esodi, che si apre per lasciar passare il popolo eletto, che si chiude come una morsa su terre e città in occasioni di grandi maremoti o che, ballerino, copre e scopre periodicamente parte di piccole città costiere come, in Italia, Pozzuoli; che in preda al potente influsso della luna, in alcune zone del globo si ritira e poi riconquista centinaia di metri, forse talvolta chilometri, di terra più volte in un solo giorno.
Evocato nelle canzoni, nelle poesie, racchiuso nei sogni dei nostri primi amori, quasi bastasse da solo a scatenare in ognuno di noi la voglia di vivere. Comunque acqua, che copre la maggioranza del pianeta che ci ospita, acqua che compone in gran parte il nostro stesso corpo di mammiferi ma che forse nell’acqua, dall’acqua, ha trovato vita ed evoluzione.
Mare vivo dai primi centimetri in cui si manifesta; basta scavare nella sabbia proprio sotto i nostri piedi carezzati dalla lieve risacca dell’estate per trovarci piccoli esseri viventi, siano esseri conchiglie, granchietti, anellidi o ancora guardare con attenzione lo scoglio lambito dalle salse acque e vedere tanta vita animale e vegetale aggrappata a quello scoglio che attende di essere ancora una volta coperta dall’elemento liquido da cui trae vita; saranno patelle, ancora granchietti o piccoli gamberi o banali pulci di mare ma talvolta pescetti infilati in un buco dello scoglio in attesa che l’acqua ancora li ricopra.
Mare e pesci un binomio inscindibile che ha attratto l’uomo fin dalla sua comparsa rappresentando per quello scimmione, che è stato nostro avo, fonte di nutrimento, di difesa, strada su cui sfamare la propria curiosità o spirito di ricerca.
Mare solcato da canoe ancora scavate nel tronco, da lussuosi alberghi galleggianti, da piccoli gommoni, da immense petroliere, dalle vele commerciali o di diletto, solcato dalle pinne dei suoi abitatori, ridotto talvolta in discarica. E noi pescatori abbiamo il nostro mare che talvolta vorremmo mosso, altre calmo, a cui ci rechiamo prima che il sole spunti o poco prima che il sole si tuffi nell’orizzonte e che invochiamo nei racconti, nei sogni, nei programmi prossimi futuri. Che vorremmo scoprire tutto per trovare quello dei miracoli, quello che ad ogni calata della nostra lenza ci regali pesci da sogno. Ed ognuno a suo modo si organizza, sceglie la tecnica a lui più congeniale, talvolta la più difficile, la meno appagante in termini di cattura ma la più gratificante in termini di sfida. E la sfida può essere la ricerca della grossa spigola con bolognese e terminale dello 0.10, può essere la caccia del record per un tonnodi centinaia di chili con una lenza che al massimo ne regge 25 o ancora la sfida con le onde che solcano i primi cento metri delle acque litoranee cercando tra quelle onde, in quel caos di correnti la preda, ma prima di essa, la possibilità, la soddisfazione di aver trovato il sistema l’equilibrio per stare in pesca. O ancora la sfida della provocazione tentando di istigare l’istinto di caccia del predatore, sia esso spigola, luccio di mare, serra, lasciando sfilare tra i flussi di corrente dei legnetti dalla forma di un piccolo pesce o una semplice piumetta o semplicemente un pezzetto di metallo luccicante.
Tutto ciò è la pesca, ben lontana dall’immagine presente nella mente di molti, di un qualcosa di ottusamente statico, perché anche quando vedremo il vecchietto appollaiato sulla propria cassetta reggere a fatica una lunga e pesante canna, magari ancora in fenolico, dovremo sapere che la sua mente sta lavorando, sta elaborando, sta cercando di capire cosa cambiare affinché quella stancante immobilità dia i suoi frutti.
Proverò ad offrirvi strumenti che possano valere oggi come domani.
Per questo motivo non vi parlerò di canne, di marche, perché domani saranno già superate. Cercherò di fissare concetti che non possono mutare anche tra 20 anni. Forse dovremo tutti imparare a pescare diversamente perché le solite mormore potrebbero perdere il predominio territoriale delle spiagge, perché sempre più pesci serra, lampughe, balestra ed altri pesci che normalmente colonizzavano acque più calde, compaiono sul nostro scenario di pesca. Resteranno immutati i fenomeni connessi alle mareggiate, agli abbassamenti di pressione, resterà immutata la filosofia di pescare il più sottile possibile per meglio celare la nostra insidia. Cambieranno i materiali e chissà che lo stesso carbonio, che riteniamo materiale che ha rivoluzionato la pesca, non diventi a sua volta obsoleto. Cresceranno le informazioni comunicabili da un capo all’altro del mondo attraverso una e – mail. Forse, spero, resterà il fascino delle parole, delle immagini stampate su di un libro, su di una rivista, non per mero conservatorismo ma perché nulla credo potrà sostituire la pace di stenderci su di un letto ed aprire il nostro libro del momento, romanzo ed altro che sia e da questo lasciarsi cullare fino al sonno.